giovedì 6 marzo 2008

Appunti su “Cos’è la Democrazia” di Giovanni Sartori.

Se la giustizia in un Stato non funziona, possiamo definire tale Stato democratico? Quando una legge elettorale viene definita una “porcata”, il sistema elettivo è democratico ? Ma cos’è, la democrazia?

Uno dei saggi più interessanti è sicuramente quello scritto da Giovanni Sartori. Tralasciando le note biografiche dell’autore, approfondiamo subito il testo.

Definire la democrazia è importante perché stabilisce cosa ci aspettiamo dalla democrazia. Questo è il primo periodo che apre il primo capitolo.


La parola, deriva dal greco, potere (kratos) del popolo (demos). Ma naturalmente il significato etimologico della parola esula dalla realtà. Quindi occorre una definizione descrittiva ed una prescrittivi.

La democrazia è politica, sociale ed economica.

La definizione di democrazia sociale deriva dalle osservazioni di Alexis de Tocqueville in America sullo “stato della società”, Tocqueville concepì il sistema politico americano come una società caratterizzata da un ethos (inteso come modo di vivere e condividere) egualitario.

La democrazia è economica, risalendo a Beatrice Webb nella sua Industrial Democracy, intesa come democrazia nel lavoro e nell’organizzazione –gestione del lavoro, dopo il fallimento in Jugoslavia (forse con Tito?) ha avuto un certo successo in Germania (Mitbestimmug, consultazione dei dipendenti nella gestione aziendale).

Vi è anche la versione marxista (vedi concezione materialistica della storia…i cambiamenti sociali sottoposti all’economia e all’organizzazione economica).

Accattivante il passaggio su Lenin in Stato e Rivoluzione <<…Lenin, in Stato e Rivoluzione dice e disdice; ma alla fine la sua conclusione è che il comunismo, abolendo la politica, abolisce al tempo stesso la democrazia). In conclusione è che democrazia economica, politica e sociale non sono scindibili e si completano a vicenda, la democrazia politica è condizione necessaria delle altre.

Popolo e Potere

Si apre il capitolo con il concetto di democrazia letterale o etimologica, che deriva dallo studio etimologico della stessa. Ma lo stesso significato letterale di democrazia non è stato sempre lo stesso, dai grecia ai romani, dove il greco demos viene convertito in populus, inteso come concetto ed entità giuridica.

Il populus, il popolo, può essere quindi definito come letteralmente tutti, come populace (proletariato); come totalità, popolo come principio maggioritario assoluto o temperato.

Il popolo quando decide, assumendo una posizione, si divide in maggioranza o minoranza, e questo “contabilizzazione” derivante dal principio maggioritario assoluto si divide in una maggioranza che prende tutto, e che può ridurre la minoranza all’impotenza.

Ed quindi fondamentale importante il rispetto per la libertà di minoranza.

Quando si parla di popolo, il concetto investe anche l’esercizio del potere, in quanto il popolo è titolare dell’esercizio del potere, in poche parole la, sovranità popolare.

Il concetto di sovranità del popolo emerge già dal medioevo, che pone le basi tra la titolarità e la fictio della rappresentanza. Rousseau, poneva la democrazia nell’elezione dei magistrati, ma vi era una carenza di rappresentatività nella sua stessa teoria, che adava bene per le piccole repubbliche (come Ginevra)

Quindi la definizione letterale di democrazia ignora il problema. Oggi il sistema democratico si impernia su regole maggioritarie e rappresentanza del potere, ed il popolo che conta è quello rientrante nella maggioranza vittoriosa.

<< Elezione e rappresentanza so sì il corredo strumentale senza il quale la democrazia non si realizza; ma ne sono al tempo stesso il tallone di Achille: le lezioni non sono necessariamente libere, e perciò la rappresentanza non è necessariamente genuina. Come rimediare, come cautelarsi da simili eventualità ? La risposta non è che la sovranità popolare provvede da sé

Macchiavelli era un realista, accertava la c.d. “verità effettuale”, e dal realismo delle cose, dall’osservazione reale, che si ricava la politica realistica, convertita nella nozione di politica pura.

Politica e morale sono distinte, dunque esiste una politica amorale. Ci troviamo di fronte a tre concetti: politica pura, politica di forza, politica realistica.

La politica della forza (Machtpolitik), deriva da Sittlichkeit (superiore moralità) di Hegel, e pur sempre variamente attinge a ideali nazionalistici, di razza, imperialistici, di classe.

Ma per Sartori, il politico puro esisteva fino a quando la politica si riassumeva tutta quanta nel potere del principe, ma da quando la politica ed il politico si dividono (il politico come persona, la politica come processo), da allora il politico puro non produce una politica prua.

Lo stesso realismo politico non è possibile accostarlo ad una posizione politica complessa e strutturata (socialismo, liberismo, ecc) si tratta solo di una visione, di una proposizione descrittiva.

Il concetto di realismo estrapolato dal Macchiavelli, ma anche Croce, nella stessa querelle tra realisti e democratici, come assertore della Realpolitik

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